Dialogare col testo: è una definizione singolare, per definire il lavoro che ognuno di noi fa nel momento della lettura, e, in un certo senso, sembra contraddire quella voce, sempre presente, che chiamiamo senso comune. La pagina, nella sua immobilità e fissità, non sembra essere un vero interlocutore e un dialogo, come sempre il senso comune ci suggerisce, ha bisogno di almeno due voci, e di almeno due menti. Eppure ogni lettore, se davvero legge, se davvero vuole comprendere, cioè abbracciare quello che il dettato testuale gli suggerisce, deve saper ascoltare e rispondere ai continui inviti che il testo gli porge. Deve interagire non solo immagazzinando informazioni e rielaborandole, ma contribuendo ad arricchire il testo stesso con il proprio pensiero e con la propria capacità di interpretare. Tutto questo si chiama ermeneutica, cioè filosofia e pratica della comprensione come dialogo incessante del lettore con il testo. Per questa via si arriva a intuire quanto sia importante la lettura, e quanto l'interpretazione di ogni singolo lettore sia importante per definire l'identità di un testo.
Il dialogo ermeneutico è un comprendere affidato alle mani del lettore. Tanti lettori, tanti diversi dialoghi ermeneutici. O, meglio, una sola ermeneutica, ma fatta di tante voci: un'unità molteplice. Più di una pratica della comprensione del testo, allora, ermeneutica significa comprensione soggettiva della complessità del mondo e della realtà. Val la pena di leggere integralmente, in proposito, un passo di un filosofo scettico della contemporaneità, Odo Maquard; tale passo riassume con grande limpidezza quale rapporto intercorre tra la lettura ermeneutica del testo e quella della realtà.
La mia tesi, dice Maquard, è la seguente. L'ermeneutica risponde all'esperienza della mortalità provocata dalla guerra civile ermeneutica per il testo assoluto inventando il testo non assoluto e il lettore non assoluto, trasformandosi cioè in ermeneutica della pluralizzazione, vale a dire ermeneutica letteraria. Il carattere autoritario della pretesa alla verità dell'esegesi univoca del testo assoluto può riuscire mortale: ecco l'esperienza delle guerre civili religiose. Allorché rifacendosi al sacro testo due interpreti in controversia fra loro sostengono: "Sono io che ho ragione, la mia comprensione del testo è la verità; per la necessità della salvezza, le cose stanno così e in nessun altro modo", in questo caso è possibile che si passi alle vie di fatto, che ci si picchi e ci si ammazzi. E' a questa situazione che l'ermeneutica risponde trasformandosi in ermeneutica della pluralizzazione attraverso questa domanda: non è possibile, però, che questo testo si lasci intendere anche diversamente e - nel caso in cui ciò non basti - un'altra volta diversamente, sempre di nuovo diversamente? In questo modo l'ermeneutica rende innocue controversie interpretative potenzialmente mortali, trasformando la comprensione autoritaria del testo nella comprensione interpretativa, vale a dire in una comprensione del testo che si apre al confronto, se necessario ad libitum ; e si dà il caso che chi si apre al confronto non uccida più.7
Il modo in cui si impara a leggere un testo diviene, allora, la scuola di comprensione della vita più efficace che sia concesso immaginare. E, proprio accettando l'impossibilità di una lettura a senso unico, si impara che non esiste una verità assoluta ma che, negli atti della comprensione umana, vi sono sempre infinite strade e infinite derive. Che il sapere è un'entità reticolare, in cui i progressi e i fallimenti sono segnati da incertezze e diversità più che dai modelli dell'oggettività. La realtà è soggettività, e necessita per la costruzione del suo senso di un'ermeneutica che non pretenda di assolutizzare, ma, al contrario, si ponga in un'ottica relativa al soggetto che ne sta inseguendo il significato.
7 Marquard O. Apologia del caso , Il Mulino, Bologna, 1991, pp. 76-77.
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