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Questi limiti sono, insistendo con la metafora numerica, lo 0 e l'1, ma non intesi come valori assoluti di giustezza e di erroneità, quanto come astrazione degli estremi possibili entro i quali l'interpretante risponde al testo. E quindi possiamo pensare all'interpretazione di ogni singolo soggetto come a un numero che non sia né 0 né 1, ma uno degli infiniti decimali tra essi compreso.
All'infuori di questi 0 e 1 ipotetici, avviene il passaggio dall'interpretazione a quello che Eco chiama sovra-interpretazione, cioè un uso, più che un'interpretazione del testo. È un buon esempio di uso l'ormai celebre interpretazione alchimistica di Cappuccetto Rosso. Giuseppe Sermonti7 ha cercato di tradurre in formule chimiche l'intera favola, per provarne l'analogia con i processi di estrazione mineraria. Cappuccetto Rosso, proprio per il colore del suo cappuccio, rappresenterebbe il cinabro che, dopo essere stato nel ventre del Lupo diventa mercurio allo stato puro. Questa interpretazione può affascinarci o farci sorridere, ma in ogni caso non possiede neppure una sua coerenza, poiché il mercurio è color argento, e il cappuccio della piccola protagonista non diventerà mai, in nessuna versione della fiaba, color argento.
Questo è un esempio di uso; un caso in cui un lettore risponde a domande che il testo non fa. Il suo interpretare non si trova tra 0 e 1, ma al di fuori di questi limiti. Nessuno, ovviamente, impedisce al lettore di usare un testo e, a quanto ci dice anche Eco, non c'è niente di male nel farlo. Però non è un'interpretazione, poiché non è un vero dialogo. Non c'è niente di male se una donna affranta dall'amore non corrisposto per un uomo, vuole leggere nelle frasi di costui, sdegnose e trascuranti, i segni di chissà quale affetto celato, ma non si può dire che questa stia dialogando con lui. E così è del tutto legittimo, in un giorno di particolare serenità e gioia di vivere, leggere ne Il deserto dei Tartari un grande inno alla vita attiva e alla pienezze dell'esistere umano, ma tutto questo non sarà un'interpretazione.
Insomma, "ci sono delle regole del gioco, e il lettore modello è colui che sa stare al gioco"8, continua Eco. Il lettore modello, si badi, è per lui un concetto di grandissima rilevanza, sul quale vale la pena di riflettere un istante. Non si tratta di un lettore in carne e ossa, ma piuttosto, di una costruzione astratta: nei termini della nostra visione ermeneutica, il lettore modello è il complesso di tutte le domande che il testo pone. Oppure, nei termini della nostra metafora numerica, è 0/1. O, come dice Eco, in sintesi, "un insieme di istruzioni testuali, che si manifestano sulla superficie del testo"9. Tutto ciò che non rientra nel numero di tali domande, o di tali istruzioni è sovra-interpretazione.
Non solo i pieni del testo, cioè le domande, ma anche i suoi vuoti sono ragione di dialogo col lettore. Il testo non pone mai quello che abbiamo chiamato "una tabella di marcia", un elenco di domande necessarie e sufficienti all'interpretazione. Spesso, tace. E il lettore deve riempire i vuoti della comunicazione testuale con qualcosa che è più di un atto responsivo: in presenza di ciò che Wolfgang Iser ha definito blank, cioè le lacune lasciate dal dettato testuale e nel dettato testuale, il lettore è tenuto a formulare, egli stesso, il testo. Proprio in relazione con tali vuoti, e in risposta alla conseguente indeterminatezza del testo. I blank sono spazi vuoti, ma, al contempo, "propellenti vitali per avviare la comunicazione"10. Nello spazio dei blank il lettore crea un campo di visione e di interpretazione per il suo "punto di vista errante"11, cioè la sua capacità di riconoscere nella pluralità ei segmenti del testo un'unità significante. E, viceversa, nell'unità del testo, una pluralità interpretativa possibile.
Complessificare il testo, per il lettore, significa costruire una coerenza, sempre suscettibile di modificazioni: un'unità che porta in sé la polifonia e la molteplicità e che di esse e delle loro modificazioni si nutre. Tale costruzione di coerenza è possibile solo attraverso una mobilità dello sguardo che sappia costantemente spostarsi tra il tutto e la parte. Insomma, non solo il lettore risponde, ma formula e riformula il testo saturando spazi in cui le informazioni offerte dal testo, senza un soggetto interpretante, non sarebbero connesse e significanti.

 


7 Cit. in Eco U. Sei passeggiate nei boschi narrativi, op. cit. p. 112.
8 Ibidem, p. 12.
9 Ibidem, p. 20.
10 Iser W. L'atto della lettura, op. cit. p. 282.
11 Ibidem, p. 171 sgg.

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