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Il gioco organizzato / deliberato

Andrea Ceciliani


Il gioco strutturato, o semi-strutturato, differisce da quello libero perché condizionato da modalità, tipologia, tempi e spazi determinati, non scelti liberamente dal bambino. A tali tipi di gioco si partecipa perché proposti da altri, adulti o coetanei, con un livello di coinvolgimento che può essere anche alto ma che perde parte di quella motivazione che sostiene il gioco destrutturato.

Nel gioco strutturato, inoltre, è necessario uniformarsi a regole non più liberamente scelte e dinamiche (plausibili di continui aggiustamenti e modifiche), quindi adattabili alle esigenze del giocatore, ma più stabili e rigide tali da superare le esigenze stesse del giocatore.

D’altra parte il bambino, vivendo una relazione asimmetrica di dipendenza dall’adulto, è abituato alle regole che riceve da chi lo accudisce e a tali regole cerca di conformarsi per l’amore che lo lega ai genitori e a chi ha cura di lui. Nel gioco strutturato, a differenza di quello destrutturato, le regole sono imposte per ordinare e rendere sicuro il processo del giocare.

Ovviamente il percorso verso la regola, così com’è intesa dall’adulto, non è immediato, ma passa attraverso alcune fasi che caratterizzano il progredire dell’esperienza ludica 1: l’assunzione del senso della regola, ovvero comprenderne la necessità; il rispetto della regola, ovvero comprenderne il valore indispensabile; il darsi una regola, ovvero l’autodeterminazione, l’autocontrollo.

Tale evoluzione è tanto più efficace e consapevole quanto più il bambino ha la possibilità di esercitarsi nella creazione, modificazione e adattamento delle regole di gioco. Ciò vale in particolare nel passaggio dal gioco solitario al gioco parallelo o sociale, dove la regola è condizione necessaria per giocare insieme: «si è liberi di giocare ma non si è liberi nel giocare» 1, in quanto esiste la libertà di inventare le regole ma non la libertà di violarle.

L’acquisizione del senso della regola, cioè la sperimentazione della sua importanza come condizione per rendere il gioco realizzabile e accessibile, porta il bambino a due consapevolezze: il rispetto della regola come cultura della legalità; il darsi una regola come autocontrollo dei propri impulsi ed emozioni: giocare e divertirsi entro limiti d’azione rispetto a quanto si può o non si può fare.  Sostiene Gray 2:

"L’istinto per il gioco li porta a ignorare i disagi e a soffocare gli impulsi, così da rispettare le regole, e queste capacità si trasferiscono gradualmente in tutti gli altri ambiti della vita".

Il bambino, dunque, deve imparare a controllare la sua mobilità eccessiva e non la sua immobilità; il gioco strutturato, all’interno del concetto di darsi una regola e di rispettarla, offre una cornice ideale per sostenere il percorso di autocontrollo. Tale situazione rappresenta il punto di partenza dell’azione educativa che, nel tempo, deve accompagnare il bambino al controllo, al discernimento, alla scelta di ciò che è bene fare rispetto a ciò che non lo è.

L’esercizio di darsi delle regole segna il passaggio dal gioco libero e simbolico al gioco di regole e, in particolare al gioco competitivo. Stabilire e attenersi alle regole è un aspetto imprescindibile del gioco e della competizione, senza di esse non è possibile disciplinarne lo svolgimento e, nel contempo, permettere il coinvolgimento totale del bambino.
La regola, infatti, stimola compiti attentivi in chi partecipa al gioco, definisce i confini entro cui bisogna collocarsi in ogni momento del gioco, si delinea come aspetto ambiguo perché limita i possibili comportamenti ma rende possibile il giocare. Il bambino che gioca, dunque, si pone in un ambiente in cui l’autocontrollo si esercita tra quello che vorrebbe liberamente fare e i limiti che la regola impone per giocare insieme agli altri.

La competizione, dunque, non è una situazione da evitare o proibire perché il bambino la interpreta come un gioco, la solita richiesta “giochiamo?” definisce chiaramente la cornice ludica all’interno della quale si realizza la competizione. Spetta all’adulto non enfatizzare il concetto di vittoria collocando la competizione nell’ambito educativo, ben sapendo che in essa si possono realizzare esperienze formative rispetto alle competenze sociali e cooperative.

Sostenere i giochi competitivi dei bambini, aiutandoli a divertirsi durante il processo del giocare e attenuando l’eventuale enfasi su chi vince o perde, è un importante atteggiamento educativo per aiutare una infanzia poco educata alle regole.
Il senso di autodisciplina, stimolato dalla presenza della regola, implica la capacità del bambino a sviluppare il senso del limite, cioè la capacità di orientare il comportamento entro la cornice stabilita. Tale dispositivo getta il germe dello sviluppo morale ed etico, rispetto a quanto si può fare o non fare, e inizia a sviluppare consapevolezza rispetto al tema della lealtà-slealtà, legittimità - illegittimità.

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Note


1Farné, R. (2010) Sport e infanzia. Un’esperienza formativa tra gioco e impegno. Milano: Franco Angeli
2Gray, P. (2015) Lasciateli giocare. Torino: Einaudi
3Caillois, R. (1995) I giochi e gli uomini: la maschera e la vertigine. Milano: Bompiani