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Il gioco libero in setting vincolato

Andrea Ceciliani


Solo nel gioco libero il bambino esprime sé stesso, esprime ciò che è senza inibizioni, esprime più facilmente tutti i suoi stati d’animo del momento o che sta covando da qualche tempo 1: ride, si diverte, si arrabbia, grida, piange, a volte sembra disperarsi ma, alla fine, è piacevolmente partecipe.
La libertà di sperimentare, nel fare e nel poter sbagliare, gli consente di mettersi alla prova in situazioni sicure, di conoscere i propri limiti e le proprie potenzialità, di addolcire la realtà in uno sfondo di fantasia grazie al quale esercitare il controllo della situazione e dei suoi effetti. Tutto ciò che i bambini fanno di loro iniziativa, giocando liberamente, non potrà mai essere riprodotto da un insegnamento impartito da un adulto, perché si lega a un processo interno, a una motivazione intrinseca che lascia tracce indelebili e rilevanti sotto forma di apprendimenti consapevoli.
È nella cornice del gioco che il bambino può sviluppare un sereno senso di sé, un’adeguata autostima che lo sostenga nell’acquisizione di autonomia e indipendenza dall’adulto:

«Il sentirsi capace e libero di fare-essere motiva il bambino ad ampliare il suo raggio d’azione, la propria curiosità verso l’esterno, che si presenterà via via più complesso ma al tempo stesso interessante. Le esperienze precedenti, la fiducia in se stesso e la possibilità di movimento autonomo fanno sì che il bambino trovi la motivazione ad affrontare i problemi che incontrerà. Sviluppala creatività, cioè la capacità di inventare gesti, azioni, comportamenti nuovi che gli permettono di superare le difficoltà, che la realtà esterna o interna gli propone durante la crescita» 1.

Sono i bambini a decidere come giocare, quali regole usare e come modificarle ogni volta che si renda necessario adeguarle alle proprie esigenze. In tal senso il gioco non è un dovere legato al ciò che si deve fare, ma un piacere sostenuto da ciò che si vuole fare in quel preciso momento, e come scelta libera garantisce la possibilità di smettere di giocare quando si vuole.

Questo atteggiamento lo allontana dalla mentalità dell’adulto, che realizza attività dirette a un obiettivo da raggiungere in breve tempo e con il minimo dispendio di energie. Il bambino non misura il tempo quando gioca, non cerca la strada più rapida per terminare il gioco perché il suo piacere è il gioco stesso: nel gioco libero il processo sovrasta il fine. I tempi del giocare allora si dilatano, si ampliano, si dispiegano in base al vissuto emotivo e persistono fintanto che dura il piacere.

Nel caso contrario, quando il fine è più importante del processo, si esce dalla cornice del gioco per entrare in quella del lavoro, del dover fare.
Il gioco libero del bambino, sostenuto dall’intelligenza sensomotoria nella continua relazione con l’ambiente circostante, attiva tutte le aree della sua personalità (motoria, emotiva, cognitiva, affettiva, sociale) in un’esperienza concreta che genera conoscenze e apprendimenti continui, soprattutto nella fascia zero-sei, quando l’evoluzione è rapida e repentina.

In un suo recente libro, Peter Gray 2 evidenzia i motivi per cui, secondo molteplici studi scientifici, il gioco rappresenta una cornice naturale di autoapprendimento. All’interno della cornice ludica, poi, il bambino può realizzare un’ampia variabilità di giochi (fisico-motori, esplorativi, costruttivi, fantastici...) che integrano conoscenze e abilità diverse elevando i livelli di competenza e di giudizio. L’aspetto meraviglioso del gioco è la facilità con cui i bambini, nella sua attuazione, condividono conoscenze e abilità, una sorta di sapere diffuso che diviene patrimonio di tutti e da cui tutti possono apprendere per intuizione, imitazione o scoperta. Il gioco diviene un’ampia e naturale forma di insegnamento tra pari (peer-teaching) e di apprendimento cooperativo (cooperative-learning). I bambini in generale, ma i più piccoli in particolare, apprendono per imitazione guardando chi sta loro intorno, e riadattano le situazioni alla loro condizione, alle loro possibilità, realizzando un continuo autoapprendimento su tutto ciò che li interessa e coinvolge.

Le stategie riferibili alla pedagogia attiva, presuppongono situazioni educative che lascino massima libertà operativa al bambino, in modo da sollecitare tutte le aree della sua personalità (affettiva, emotiva, cognitiva, motoria, sociale) e, grazie ad esse, le potenzialità presenti in ogni singola persona.
Tale dispositivo, ampiamente condivisibile e opportuno, non prevede una completa mancanza di linee guida ed attese comportamentali da parte del bambino. L’educatore, infatti, agendo sulla preparazione del setting educativo/vincolato, può predisporre spazi, tempi e attrezzature in modo da orientare, ovvero vincolare, i comportamenti dei bambini verso azioni attese o auspicabili, pur lasciandoli liberi di agire attraverso proprie scelte e interpretazioni dell’esperienza in atto.

 

Note


1 Vecchiato M., (2007) Il gioco psicomotorio. Psicomotricità psicodinamica. Roma: Armando
2 Gray P. (2015)  Lasciateli giocare. Torino: Einaudi

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