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Giochi di vertigine

Andrea Ceciliani


La cornice del gioco di vertigine 1, chiama in causa aspetti affettivo-emotivi molto importanti se correlati al controllo del timore e dell’ansia e, al contempo, pone in essere meccanismi di sfida e avventura che sono di fondamentale importanza per una equilibrata strutturazione della propria identità.
I giochi di vertigine sono tutte le attività in cui si perde momentaneamente il controllo dell'azione e si mettono in gioco valenze emotive particolarmente pregnanti e impegnative: correre velocemente, correre lungo il pendio della collinetta, saltare in basso, cadere, scivolare, arrampicare, rotolare, dondolare forte sull'altalena.
Sono attività che il bambino inizia a svolgere non appena è in grado di controllare la deambulazione sicura e la corsa e, nella maggior parte delle situazioni, mettono alla prova il controllo e la perdita dell'equilibrio, ovvero gli effetti che le forze fisiche esercitano sul corpo in movimento.

Queste esperienze, che riguardano tutto il corpo, sono fondamentali per garantire uno sviluppo psicomotorio completo ed efficace, che consenta la maturazione di un'adeguata destrezza e maestria motoria basata sulle abilità naturali.
Nel momento in cui dondola, scivola, oscilla, si lancia nel vuoto, il bambino sperimenta la perdita momentanea dei riferimenti spaziali mettendo in crisi soprattutto l'apparato vestibolare, le sensazioni labirintiche, sollecitando l'emozione di abbandono e di recupero del controllo di sè.

L’odierno atteggiamento pedagogico iperprotettivo, attuato in prima istanza dalla famiglia, tende a proibire qualsiasi situazione limite per il bambino, seppur controllata e sicura, per evitare possibili insuccessi, fisici o morali che, invece, rappresentano esperienze indispensabili per l’acquisizione di sicurezza di sé e autostima.
Il bambino ha bisogno di avventura, di mettersi alla prova, per conquistare il senso di autonomia e responsabilità rispetto alle scelte fatte. L’idea stessa di consapevolezza del rischio è intimamente collegata alle esperienze svolte, al ricordo di esiti emotivamente positivi o negativi, che aiutano a operare scelte nelle situazioni successive. L’esperienza di rischio e di avventura, liberamente ricercata dal bambino, rappresenta un aspetto della cura educativa che deve accompagnare il bambino, per insegnarli ad orientarsi nelle scelte di ciò che è possibile fare rispetto a ciò che è troppo difficile o realmente pericoloso.

Gli educatori devono aiutare i bambini, senza sostituirsi a loro, nella realizzazione di esperienze avventurose, a “rischio calcolato”, che consentano l’esplorazione di situazioni affascinanti ed emotivamente coinvolgenti, caratterizzate dall’iniziativa personale e dall’assunzione di responsabilità rispetto alle conseguenze del proprio agire. Ecco allora che arrampicarsi su un albero, o saltare da un castello, o piroettare su se stessi fino a cadere, divengono esperienze importanti per il bambino e per il senso di sicurezza di sé.
La metafora dell’avventura, ricercare il nuovo, l’inatteso, che consenta di sperimentare il proprio sé è una cornice elettiva per esplorare i propri limiti ma, anche, le proprie capacità, mettendo alla prova il controllo dell’ansia (timore) e il desiderio di provare (piacere) in un contesto emozionale positivo. Vietare queste attività, un tempo patrimonio di tutti i bambini che giocavano liberi nei cortili, significa limitare un ambito educativo molto importante rispetto alla consapevolezza di sé nella gestione dell’autonomia responsabile.

Le attività di avventura e rischio sono azioni lecite di cui i bambini non hanno timore, se non per induzione da parte degli adulti: il fatto che si vieti loro di sperimentarle conferma l’idea che i bambini, normalmente, cercano di cimentarsi in esse. Non può esistere attività psicomotoria senza tratti di vertigine e rischio:

“il rischio sferza come una frusta il bambino impegnato nell’azione e possiede un impatto educativo rilevante. […] ciò non fa che ribadire l’importanza del fatto che l’educatore debba essere consapevole di questi aspetti e attrezzato per affrontarli”. 2

 

1 Caillois R. (1995) I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine. Milano: Bompiani
2 Parlebas P. (1997) Giochi e Sport. Corpo, comunicazione e creatività ludica. Torino: Il Capitello

 


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