Page 26 - Studio dei ponti della zona e del mestiere del “barcaiolo o passatore” a Modena Progetto di storia locale in collaborazione con l’Archivio Storico del Comune di Modena classe 5° A Menotti Ic1 Modena Insegnanti Paolo Zanni e Silvia Lotti consulenza Dott.ssa Sara Spallanzani
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Vanda la moglie di GIOVANNI DONDIN
Sono nella baracca, in cucina sto cucendo un vestito, aspetto mio marito e Luigino che
tornino da lavoro, speriamo non zuppi d’ acqua!
E’ quasi mezzanotte, mi metto a letto e mi dissi:
Mio marito dovreb…PUM PUM!!!
Ma cos’è? Dio mio sembrano due spari !
Mi chiedo spaventata.
Scendo in fretta dal letto, esco dalla baracca e vedo il cavaliere del duca scappare via a
cavallo con la sua guida e mio marito con una rivoltella fumante in mano.
Corro da lui e gli chiedo ma Giovanni, cosa è successo!?
Cosa ci fai con una pistola?
Ma sei ammattito!
Lui mi risponde: “ Mi hanno provocato con tono imperioso e io non ho resistito, con
quei due signorotti!
Ero stanco e assonnato e ho sparato con l’ intenzione di spaventarli!
Chi si credono di essere quelli!!!
Non devono usare un’ altra volta un tono del genere con me!!
“Ma Giovanni, ti sei messo nei guai, adesso lo verrà a sapere il duca, chissà che
punizione terribile ti accadrà!!!
E io che fine farò ?
Andiamo a letto, tanto ormai è finita!
E’ sabato 24 Settembre, è l’ alba, Giovanni dorme, a un certo punto bussano alla porta,
erano le guardie del duca e io, come se non avessi visto niente, chiesi:
“ chi cercate, noi siamo gente per bene!”
Ma loro, invadenti mi spinsero fuori e presero Giovanni.
Lo portarono su un carro trainato da un mulo.
Ma io non volevo che soffrisse solo lui, allora lo seguii con qualche lacrima!
Ludovico, fratello di Giovanni, andò al cospetto del duca inginocchiandosi per chiedere
la libertà per Giovanni, ma lui rispose con tono perentorio di no, perché quella
punizione serviva come esempio che nessuno aveva il diritto di contraddire i suoi
soldati.
Ludovico mi riferì tutto, ma io ero quasi certa della risposta del duca.
Il carro portò Giovanni in piazza Grande, lo legarono e lo condussero sulla pietra
Ringadora.
Lo avevano stretto a un palo e gli diedero tre tratti di corda.
Ad ognuno, lo vedevo soffrire e urlare ma la verità e che mi sentivo anch’io un corpo
distrutto dal dolore del mio cuore.
Per molto tempo dovetti curare Giovanni. Da allora purtroppo mio marito non riuscì più
a lavorare, così continuò ad essere triste e mio figlio prese il suo posto di passatore.
Alice e Davide P.