Page 23 - Studio dei ponti della zona e del mestiere del “barcaiolo o passatore” a Modena Progetto di storia locale   in collaborazione con l’Archivio Storico del Comune di Modena     classe 5° A Menotti Ic1 Modena Insegnanti Paolo Zanni e Silvia Lotti consulenza Dott.ssa Sara Spallanzani   
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All’alba noi due si dormiva ancora; ci svegliò mia moglie Vanda. “Giovanni, Giovanni,
         le guardie del Duca!”
         Ero ancora stordito e assonnato. “Chi l’è il passatore? Chi l’è Giovanni Dondin!”
         “Son me!” faccio io. “Ma cos’è che succede?”
         “Succede che tu, Dondin, tu vieni con noi. Ordine del Duca!”E mi caricarono, le mani
         legate, su un carro tirato da un mulo. Le guardie erano sei e tutte a cavallo. Mi

         portarono al Palazzo Ducale e, una volta là, mi gettarono, ancora con le mani legate,
         in una galera buia e umida. Ci ho passato tre o quattro ore buone, là dentro. Il tempo
         non passava mai e io tremavo come una foglia. Sapevo che per me si sarebbe messa
         male.
         D’un tratto mi vennero a prendere e mi misero di nuovo sul carro. Fui condotto dal
         Palazzo verso piazza Grande, mi fecero passare per la via Emilia, poi davanti al

         Duomo, poi in piazza fino alla pietra. Lì fui fatto scendere dal carro e poi salire sulla
         pietra Ringadora. Una guardia gridò: “ Costui l’è Giovanni Dondin, passadore di S.
         Ambrogio; l’ha sparato la notte scorsa contro un cavaliere del Duca e il Duca
         illustrissimo, per dare l’esempio, oggi sabato 24 settembre del 1541, anno del
         Signore, lo condanna a tre tratti di corda!”


         Ci fu un gran silenzio; le gente mi guardava incuriosita. Tutti gli occhi erano fissi su di

         me. Alcuni mi guardavano con pietà, altri con indifferenza, alcuni con rabbia, altri con
         tristezza.
         Io tremavo. Tremavo come una foglia. Gridai “Pietà! Chiedo la grazia del Duca
         illustrissimo!”
         Per tutta risposta, le due guardie che mi avevano legato le spalle a un palo fissato alla
         pietra mi gettarono giù. Provai un dolore tremendo. Al primo colpo mi ruppi il naso

         sui sassi del selciato e mi lussai le due braccia; al secondo tratto, mi ruppi anche il
         braccio e il polso della destra; al terzo ero così dolorante che non riuscivo nemmeno a
         parlare. Mi usciva un lamento continuo che non finì che la notte seguente.
         I miei mi condussero a S. Ambrogio su un carro preso a nolo, ma io urlai per tutto il
         viaggio.
         E dopo tanti anni sono ancora malconcio e non sono più buono di lavorare. Ora il
         passatore lo fa mio figlio Altiero. Senza di lui sarei morto di fame. Ma ormai sono un

         pover’uomo!


                                                   maestro Paolo
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