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"Progetto sperimentale di formazione sui disturbi dello spettro autistico (ASD) in bambini di età da 0 a 6 anni"
Il gioco: insegnare a giocare ai bambini con autismo Molti pedagogisti e psicologi famosi sostengono che, nell’età prescolare, le modalità più efficaci di apprendimento prevedono un coinvolgimento attivo da parte del bambino nel proprio ambiente e considerano il gioco il mezzo più adatto. Già Maria Montessori sosteneva che “il gioco è il lavoro del bambino” e su questo presupposto costruì il suo modello pedagogico. Nel gioco il bambino sviluppa le proprie potenzialità intellettive, affettive e relazionali: impara ad essere creativo, sperimenta le sue capacità cognitive, scopre se stesso, entra in relazione con i suoi coetanei e sviluppal’intera personalità. In relazione all’età e a numerose variabili personali e di contesto, utilizza diverse forme di attività ludica La maggior parte delle esperienze di gioco, nell’età considerata, possono essere ricondotte atre diverse dimensioni. La dimensione esplorativa, che si ricollega alla pulsione esplorativa, alla grande curiosità di vedere e toccare che si manifesta fin dai primissimi giorni di vita e si esplica via via nell’esplorazione di spazi nuovi e nella manipolazione, anche in assenza di ragioni utilitaristiche. La dimensione motoria, poiché gioco e movimento si intrecciano costantemente nella quotidianità dei bambini. Il gioco motorio, conduce alla ricerca e alla scoperta in un susseguirsi di apprendimenti sempre più specifici e complessi. La dimensione simbolica che caratterizza il periodo due-sei anni e si colloca in una fase detta "rappresentativa", in cui si acquisisce la capacità di rappresentare tramite gesti o oggetti una situazione non attuale. La propensione al gioco emerge molto presto e spontaneamente nei bambini con evoluzione nella norma; nei bambini con autismo ciò rappresenta una difficoltà insolita in quanto non sviluppano questa capacità secondo il modello evolutivo nella norma. Nel 1979 Lorna Wing e Judith Gould condussero una ricerca a Camberwell, esaminando tutti i bambini al di sotto dei 15 anni che presentavano disabilità fisica, disturbi di apprendimento e di comportamento. Analizzando i risultati esse furono in grado di individuare con esattezza la natura sociale di questa disasbilità e identificarono ciò che descrissero come la “triade autistica” di deficit: Deficit nell’interazione sociale; Deficit nella comunicazione sociale; Deficit nell’attività immaginativa sociale . (pag. 10) Secondo la triade la terza area è caratterizzata dalla mancanza o compromissione delle capacità di gioco e di immaginazione. Implicazioni finora rilevate nelle difficoltà di gioco nei bambini con autismo indicano che essi necessitano di un insegnamento diretto delle funzioni dei vari oggetti o giocattoli in situazioni strutturate. Secondo gli autori, prima di procedere all’insegnamento di giochi funzionali, simbolici, di finzione, di fantasia o di rappresentazione, l’operatore deve accertarsi che il bambino abbia raggiunto un adeguato livello nelle capacità che lo precedono, compresa la capacità di praticare i giochi manipolativi, esplorativi e di abilità con una gamma di materiali diversi. Per gioco funzionale si intende l’utilizzo appropriato di un oggetto durante il gioco: ad esempio far correre una macchinina spingendola sul pavimento, associare gli oggetti in maniera convenzionale ad esempio mettere una pentola su un fornello giocattolo. (pag. 88) I bambini autistici dedicano meno tempo al gioco funzionale; questo è meno vario e integrato ed è caratterizzato da manipolazioni ripetitive; ad esempio caricare e scaricare in continuazione materiali da un camioncino o far cadere un aereo. Possono, però, dietro suggerimento, produrre esempi di giochi di immaginazione come è dimostrato dalle ricerche di Lewis e Boucher (1988; 1990), i quali chiesero a un gruppo di bambini cosa si potesse fare con una macchinina e un pezzo di spago; un bambino autistico attaccò lo spago alla macchinina dicendo        “Fare il pieno”. Ma, anche quando dimostrano capacità di finzione, i bambini autistici producono un minor numero di atti nuovi (Jarrold et al. 1996) e il gioco rimane ripetitivo e inflessibile. Esempi mostrano come il “gioco immaginario” altro non è che una ripetizione di una routine appresa magari in un conteso diverso. (pag. 89) È essenziale che gli operatori riconoscano il fatto che, nel caso dei bambini autistici, invece di insegnare attraverso il gioco, bisogna insegnare loro a giocare: l’obiettivo è attivare l’attitudine al gioco, cioè fare scoprire al bambino il senso del ludico, dell’imprevedibile, della creatività e del divertimento. (pag.90) Approfondimenti Il gioco e i bambini Maria Cristina Stradi Coordinamento pedagogico provinciale Modena Il gioco Milena Gibertoni e Stefania Vicini Centro per l’autismo, Azienda USL di Modena