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Articoli pubblicati nel blog VOCIDALBRANCO.IT - Anno 2012
discrezione, la riservatezza, un ne quid nimis cui costringeva la sua appassionata
sensibilità seguendo in questo un convincimento profondo e una misura etica cui rimase
costantemente fedele. Oggi, perciò, di rendere pubblico questo ricordo ,che gli
rivolgiamo con una nostalgia fattasi già rimpianto, dovremmo chiedergli il permesso e
quasi scusarcene e promettergli che lo faremo a mezza voce,all’insegna
dell’understatement come piaceva a lui.
Il senso profondo dell’insegnamento di Almo Calzolari (aveva insegnato fino al 1983
Italiano e Latino al triennio del liceo Muratori ) si disvelava, quasi come in un percorso
iniziatico, non subito e non a tutti;era nel corso del triennio, man mano che si maturava e
si progrediva in strumenti, consapevolezza e habitus critico, che si apprezzavano certe
sue affermazioni e osservazioni, e si comprendevano certi suoi atteggiamenti che
all’inizio, al termine di un biennio severo e spesso arcigno, non di rado spiazzavano e
disorientavano lo studente, da subito messo in crisi nella sua ginnasiale convinzione che
il portato più significativo degli studi classici fosse distinguere le forme verbali greche
dagli spiriti aspri o dolci o conoscere a memoria i paradigmi irregolari. Ed ecco arrivava
Calzolari e già da quello che oggi diremmo il codice prossemico si differenziava
fortemente dai colleghi: non sedeva mai alla cattedra, camminando invece su e giù per
l’aula;talora occupava un banco vuoto accanto o dietro a uno studente, fissandolo con
quegli occhi e quello sguardo intenso che parevano guardarti dentro nell’animo e nella
mente per scoprire chi eri in tempi in cui le confidenze sentimentali , familiari e
psicologiche degli scolari agli insegnanti non avevano cittadinanza nella scuola . E ti
poneva delle domande che nessuno ti aveva mai posto , per rispondere alle quali non
bastava essere, come si diceva allora, sgobboni. Di lì iniziava subito quella lunga lezione
di umiltà che era il sigillo, il segno distintivo del suo insegnamento. Allo studente che
intendeva ostentare la propria preparazione sulla Commedia, citando incautamente
illustri critici danteschi di cui non conosceva altro che il nome, riservava un ironico “Ma
quante cose sa il nostro***, senti, senti …. e mi dica: lei sa chi sono questi signori?Il De
Robertis ?”.In questi casi rivolgendosi allo scolaro ricorreva, gran brutto segno, al Lei,
quasi a marcare una distanza e un dissenso: non si cita senza consapevolezza per apparire
più colti di quanto non si sia e non si cita senza verificare. Alla studentessa diligente, che
sciorinava senza dubbi e incertezze la paginetta letta sul manuale e fiera lo guardava
aspettandone il plauso, lui obiettava,con quella sua inconfondibile inflessione di voce e
quella erre moscia che invano gli studenti nelle imitazioni canoniche provavano a
riprodurre: “ Ah, davvero? Ma è così? È proprio così? E’ sicura che sia proprio come Lei
dice?”E in tal modo costringeva non solo la ragazzina ingenua ma la classe tutta a
interrogarsi se non ci potessero essere altre interpretazioni, altri percorsi di pensiero, altri
angoli visuali. E abituava così lo studente al pensiero plurale, all’opposta interpretabilità
del reale, a rifuggire da dogmatismi e affermazioni apodittiche. Il dubbio, che
costantemente opponeva alle certezze senza incrinature, aveva naturalmente un
profondo valore pedagogico, costituiva uno strumento del suo procedimento maieutico
grazie al quale riusciva a trarre fuori da ogni scolaro che non vi si opponesse con
presunzione e supponenza, ciò che ciascuno poteva dare, molto o poco che fosse,
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