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IMMIGRATI E FAKE NEWS
Perché ha funzionato? È possibile individuare alcuni elementi che hanno contribuito, a
mio parere, alla riuscita dell’attività.
1. IL TEMPO: gli alunni hanno avuto a disposizione un congruo lasso di tempo per
svolgere senza pressioni l’attività, riflettere sulle fonti, confrontarsi ed estrapolarne
informazioni; la rapidità e l’immediatezza con cui avviene la comunicazione ai giorni
nostri non permettono un’adeguata verifica delle fonti su cui si basa una determinata
affermazione e, in particolare, di fronte a una notizia online la mente adotta metodi di
giudizio molto rapidi; l’attività proposta ha richiesto invece impegno e attenzione
scrupolosa, una focalizzazione sui dati reali e non sulle proprie impressioni e preconcetti,
e questo “tempo lungo” ha permesso la maturazione e la formulazione di un pensiero
più meditato;
2. DATI, CIFRE, TABELLE: anche se la propaganda politica ci ha ormai abituato a
mettere in discussione persino i “numeri”, per evitare di cadere in discorsi moralistici o
percepiti come “buonisti” l’approccio fondato sull'acquisizione di informazioni ricavate
da dati oggettivi e fonti autorevoli si è rivelato vincente nell’aiutare gli alunni a
maturare una maggiore consapevolezza sull'errata percezione del reale generata
dalle fake news e sugli effetti che ne conseguono sui rapporti personali e sulla
convivenza civile;
3. LA RELAZIONE CON L’INSEGNANTE: il patto educativo, fondato sulla
conoscenza e la fiducia reciproca, fra alunni e insegnante è essenziale per la buona
riuscita dell’attività: è solo se l’insegnante è considerato credibile e autorevole che gli
alunni possono decidere di mettersi in gioco accettando di sfidare i propri pregiudizi su
un tema che investe la loro vita di relazione con i compagni, gli adulti significativi e il
contesto in cui vivono;
4. VALUTAZIONE: il voto ha contribuito a stimolare l’impegno e la serietà nel lavoro
proposto.
Vorrei chiudere questa introduzione con due considerazioni.
I ragazzi stranieri nei loro commenti, riferendosi all’Italia, hanno sovente utilizzato
espressioni come “il nostro Paese”, rivelando così una realtà che ogni insegnante si trova
a sperimentare ai giorni nostri a scuola e cioè che essi, nati e cresciuti in Italia, non si
percepiscono come stranieri ma come italiani. Su questo punto, si potrebbe aprire il
dibattito sullo ius soli, che non era l’oggetto di questa attività ma che è stato sollevato,
inconsapevolmente e spontaneamente, da questi giovani italiani senza cittadinanza
attraverso l’impiego della prima persona plurale in riferimento all’Italia.
Se Rachid, invece di trasformare il dolore della sua ferita in rancore ha ritrovato il
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