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IMMIGRATI E FAKE NEWS


            gestita, può portare a competizione con persone a basso reddito nell’accesso a servizi sociali, piuttosto che
            nel mercato del lavoro. Ma una classe dirigente all’altezza deve avere il coraggio di dire la verità agli italiani:
            abbiamo bisogno degli immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale.

            Oggi gli immigrati offrono un contributo molto importante al finanziamento del nostro sistema di protezione
            sociale e questa loro funzione è destinata a crescere nei prossimi decenni man mano che le generazioni di
            lavoratori  autoctoni  che entrano  nel  mercato  del  lavoro  diventeranno  più  piccole.  Nella Parte terza  del
            Rapporto documentiamo come gli immigrati che arrivano da noi siano sempre più giovani: la quota degli
            under 25 che cominciano a contribuire all’Inps è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015. In termini
            assoluti si tratta di 150.000 contribuenti in più ogni anno. Compensano il calo delle nascite nel nostro Paese,
            la minaccia più grave alla sostenibilità del nostro sistema pensionistico, che è attrezzato per reggere ad un
            aumento della longevità, ma che sarebbe messo in seria difficoltà da ulteriori riduzioni delle coorti in ingresso
            nei registri dei contribuenti rispetto agli scenari demografici di lungo periodo.

            Per offrire qualche ordine di grandezza su quanto ci costerebbe la chiusura delle nostre frontiere ai cittadini
            extra-comunitari, abbiamo voluto simulare l’evoluzione da qui al 2040 della spesa sociale e delle entrate
            contributive nel caso in cui da qui in poi i flussi in entrata di contribuenti extra-comunitari dovessero azzerarsi.
            Nel triennio precedente alla crisi circa 150.000 lavoratori immigrati cominciavano a versare contributi ogni
            anno mentre il 5% dello stock di lavoratori immigrati (circa 100.000 persone) uscivano dal nostro mercato
            del lavoro. Nella nostra simulazione la popolazione dei contribuenti immigrati si riduce mediamente ogni
            anno di circa 80.000 persone nei prossimi 22 anni. In linea con i dati raccolti nella Par te terza sulle carriere
            lavorative  degli  immigrati,  abbiamo  ipotizzato  una  retribuzione  annua  di  ingresso  di  2.700  euro,  molto
            inferiore a quella dei lavoratori italiani (gli immigrati fanno i lavori che gli italiani non vogliono più svolgere),
            poi crescente fino a un massimo di 9.500 euro al termine della carriera. Abbiamo guardato tanto al gettito
            contributivo che alle spese associate a prestazioni destinate agli immigrati (pensioni, prestazioni a sostegno
            del reddito, assegni al nucleo famigliare, invalidità civile). I risultati della nostra simulazione a prezzi costanti
            possono essere riassunti in tre cifre: nei prossimi 22 anni avremmo 73 miliardi in meno di entrate contributive
            e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati, con un saldo netto negativo di 38 miliardi
            per le casse dell’Inps. Insomma una manovrina in più da fare ogni anno per tenere i conti sotto controllo.

            Certo  molti  degli  immigrati  che  cominciano  a  lavorare  oggi  nel  nostro  paese  matureranno  il  diritto  alla
            pensione  più  in  là  nel  tempo,  in  numero  consistente  dal  2060  in  poi,  quindi  oltre  l’orizzonte  preso  in
            considerazione dalle nostre simulazioni. Bisogna tuttavia tenere conto del fatto che molti immigrati lasciano
            il nostro paese prima di maturare i requisiti contributivi minimi e, anche quando ne avevano diritto, in passato
            spesso non hanno richiesto il pagamento della pensione, di fatto regalandoci i loro contributi (nostre stime
            prudenziali  sono  di  un  regalo  che  vale,  ad  oggi,  circa  un  punto  di  Pil).  Mentre  l’85%  delle  pensioni  in
            pagamento per i nativi è basato sul sistema retributivo, solo lo 0,3% degli immigrati è destinato a ricevere
            pensioni basate su regole così generose. Infine, i nostri dati ci dicono che gli immigrati oggi in Italia hanno
            una speranza di vita più breve di quella utilizzata per definire ammontare e durata delle pensioni e questo
            significa che, anche nell’ambito del metodo contributivo, pagano molto di più di quanto ricevano tenendo
            conto di versamenti e prestazioni durante l’intero arco della vita.

            Abbiamo perciò bisogno degli immigrati e, soprattutto, di contribuenti immigrati. La Parte terza del Rapporto
            contiene  importanti  suggerimenti  su  come  ulteriormente  rafforzare  il  contributo  degli  immigrati  al
            finanziamento del nostro stato sociale. Impedire loro di avere un permesso di soggiorno quando sono in Italia
            è la strada sbagliata perché li costringe al lavoro nero e li spinge nelle mani della criminalità. Al contrario, le
            regolarizzazioni sono state il più potente strumento di emersione del lavoro nero sin qui attivato nel nostro
            paese e hanno avuto un effetto duraturo sul comportamento lavorativo degli immigrati: quattro lavoratori
            regolarizzati su cinque erano contribuenti attivi del nostro sistema di protezione sociale anche 5 anni dopo
            la loro regolarizzazione.




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