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Gioco

Il gioco è un comportamento umano naturale, presente in ogni paese e cultura, ampiamente osservato dagli studiosi ma contraddittorio e difficilmente riconducibile a un’unica interpretazione. Secondo l’approccio evoluzionista 1,

«il gioco è il modo in cui la natura si assicura che i cuccioli d’uomo e di altri mammiferi imparino quanto è necessario per sopravvivere e cavarsela bene».
Il gioco, nelle sue diverse manifestazioni, non può essere definito in modo univoco e unico, ma piuttosto attraverso una serie di caratteristiche che, in varia misura, determinano l’atteggiamento giocoso più o meno intenso manifestato dal bambino nelle sue attività. In generale si è soliti dire che il bambino gioca sempre, ma, di fatto, non sempre le attività infantili sono ascrivibili al gioco. Esiste una serie di esperienze in cui i bambini assimilano conoscenze derivanti dalla loro relazione con sé stessi e con l’ambiente esterno. In tali frangenti il bambino, più che giocare, si concentra sull’attività, appare serio e assorto, preso dalla curiosità di capire e comprendere quella particolare situazione, oggetto o persona cui si relaziona. Il gioco vero e proprio si realizza nelle fasi di accomodamento, quando il bambino ripete con piacere determinate azioni, sensazioni o effetti 2 in forma solitaria o condivisa con i pari. Fu Bateson 3 a individuare la presenza della cornice ludica, come ambito di gioco rispetto al non-gioco, attraverso il segnale di accesso che i bambini utilizzano: “giochiamo?”.
      L’adulto, quindi, non può determinare quando il bambino, indipendentemente da ciò che sta facendo, gioca o non gioca, perché è lui stesso che decide il momento in cui varca il confine che immette nella cornice ludica e, analogamente, il momento in cui smette di giocare: “non gioco più!”. Gli annunci “giochiamo?” e “non gioco più!” stabiliscono in modo inequivocabile che il bambino fa grande distinzione tra gioco e non-gioco, e dunque non sempre è intento a giocare, come molti erroneamente pensano.
      Il gioco è una cornice di esercizio in cui sensorialità, emozione e cognizione si esprimono in un contesto immaginifico che piega la realtà alle esigenze del bambino, consentendogli di mettere alla prova sé stesso, le sue competenze e l’intera personalità. Nel gioco viene profuso il massimo impegno perché non vi sono conseguenze alle prestazioni, ci si può cimentare con piena serenità e gioia, dando valore al momento in cui si gioca (processo) più che al prodotto finale (risultato). Per tali motivi il bambino che gioca realmente e liberamente non è minimamente sfiorato dall’ansia o dalla paura dell’insuccesso, anzi si spinge verso i limiti superiori delle sue competenze affacciandosi alla zona di sviluppo prossimale:

«Nel gioco il bambino si comporta sempre come fosse di là del suo comportamento quotidiano, nel gioco è come se fosse più grande. Come in una lente d’ingrandimento il gioco contiene in forma condensata tutte le tendenze evolutive ed è perciò una delle maggiori fonti di sviluppo» 4
      

Il gioco, dunque, è intrinsecamente motivato, sostenuto dal piacere di agire in sé e non dai suoi effetti finali o da ricompense attese (queste ultime sostengono il concetto di lavoro più che quello di gioco). Per tali motivi il bambino quando gioca liberamente, pur sperimentando sensazioni gradevoli e a volte sgradevoli, raggiunge livelli positivi di attivazione emotiva che gli consentono di ottimizzare il comportamento intelligente.

 

Note


1 Gray P. (2015) Lasciateli giocare. Torino: Einaudi, p.149

2 Baumgartner E. (2002) Il gioco dei bambini. Roma: Carocci

3 Bateson G. (1996) Questo è un gioco. Milano: Raffaello Cortina

4 Vygotskij L. S. Il ruolo del gioco nello sviluppo mentale del bambino, in JS Bruner; A J K Sylva (a cura di) Il gioco. Ruolo e sviluppo del comportamento ludico negli animali e nell’uomo. Roma: Armando,  p.675


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